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Si avvera il sogno di Don Puglisi: nasce una chiesa sui beni confiscati

palermo,turismo,news,notizie,sicilia,estate,mare, mafia, don puglisiSi avvera il sogno di Don Puglisi. Una nuova chiesa sarà costruita a Brancaccio sui beni confiscati. Era un progetto che stava a cuore a don Pino Puglisi da tempo, ma interrotto dal suo brutale assassinio, avvenuto il 15 settembre del 1993. Adesso, grazie all’iniziativa dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati alla mafia, quel progetto diverrà realtà.

IL SOGNO – Un terreno confiscato alla società del costruttore Giovanni Ienna (ritenuto vicino ai boss di Brancaccio Giuseppe e Filippo Graviano) è stato destinato dal consiglio direttivo dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati al Comune di Palermo. Il bene confiscato verrà assegnato alla Curia vescovile e su quel terreno sorgerà una Chiesa intitolata proprio a padre Puglisi. Un’iniziativa realizzata attraverso una serie di complessi passaggi per l’assegnazione, risolti dall’Agenzia diretta dal prefetto Giuseppe Caruso che ha anche assegnato all’arma dei carabinieri 20 appartamenti confiscati all’imprenditore Salvatore Corso, condannato per mafia.

BEATIFICAZIONE – Il progetto di una nuova chiesa a Brancaccio era stato accarezzato dallo stesso padre Puglisi, quando era ancora in vita, come hanno rivelato alcuni documenti inediti della sua corrispondenza privata scoperti dalla Curia. «Se ognuno fa qualcosa allora si può fare molto», amava ripetere il sacerdote antimafia. Adesso, nel suo nome, quell’iniziativa diverrà realtà, offrendo un’ulteriore possibilità di riscatto alla gente del quartiere, proprio nello stesso anno in cui troverà compimento il percorso di beatificazione del sacerdote. Don Puglisi, ucciso «in odium fidei» sarà proclamato beato il prossimo 25 maggio. (Corrieredelmezzogiorno)

Palermo, il cuoco Natale Giunta denuncia il pizzo. Arrestati 4 estorsori

QUADRO NEWS.pngI carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Palermo stanno eseguendo quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere per estorsione emesse dal Gip su richiesta della Dda, nei confronti di presunti esponenti di Cosa Nostra.

Le indagini sono state avviate dopo la denuncia di un noto imprenditore palermitano, titolare di una società di ristorazione e catering. La vittima ha raccontato di essere stato contattato nel marzo scorso dagli esattori del racket i quali gli avrebbero contestato di aver intrapreso l’attività commerciale senza aver chiesto l’autorizzazione a cosa nostra, ovvero di non essersi “messo a posto”.

I quattro, ai quali viene contestato il reato di tentata estorsione aggravata dalle finalità mafiose, avrebbero preteso il versamento di 2 mila euro, da pagare sia a Pasqua che a Natale, per il sostentamento delle famiglie dei detenuti.

Sono del quartiere di Borgo Vecchio, i quattro presunti estorsori che avrebbero chiesto il pizzo al ristoratore Natale Giunta, diventato famoso per la partecipazione alla Prova del cuoco, programma di Rai 1, e che sono stati arrestati dai carabinieri. Si tratta di Antonino Ciresi, 70 anni, di Monreale; dei palermitani Maurizio Lucchese, 50; Alfredo Calogero Attilio Perricone, 42; Giuseppe Battaglia, 41.

Le indagini, coordinate dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci, assieme ai sostituti della Dda di Palermo, Francesc Mazzocco e Caterina Malagoli, sono scattate dopo la denuncia di
Giunta. Quest’ultimo, nel marzo 2012, è stato avvicinato dagli arrestati che gli hanno intimato di “mettersi a posto”: sarebbe bastato pagare 2 mila euro, a Pasqua e a Natale, la somma che serviva per ‘sostenere’ le famiglie dei detenuti. I quattro con il ristoratore avevano usato il classico linguaggio degli estorsori. “A posto”, infatti, significa che, fin quando non avrebbe pagato, nel suo locale non si sarebbe più recato nessun cliente, “perché praticamente siamo d’accordo tutti. Due a Pasqua, più due a Natale”. Che non fosse uno scherzo, i quattro lo hanno fatto capire in tutti i modi al ristoratore impegnato anche nel settore del catering.

Dopo le parole sono passati ai fatti, utilizzando anche i ben noti messaggi per convincere i commercianti: colla nei lucchetti o danneggiamento dei locali. Più volte l’imprenditore ha ribadito che non era in grado di pagare, perché in difficoltà economiche. Dopo qualche settimana dalla richiesta, a Giunta è arrivato un biglietto anonimo con delle minacce (“mettiti a
puostu, un fare ù sbirru, picchì ti finisci mali”).

Poi, tre intimidazioni: due danneggiamenti all’interno del locale, infine il ritrovamento di una tanica di benzina all’esterno del ristorante. Un’escalation di minacce che ha portato alla denuncia e agli arresti dei carabinieri. (GDS)

Stato – Mafia: Consulta, si’ a ricorso Napolitano. Le intercettazioni vanno distrutte

palermo,turismo,news,notizie,sicilia,estate,mare, mafiaNon spettava alla Procura di Palermo “valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica”, e “omettere di chiedere al giudice l’immediata distruzione” di tali atti.

Questa la decisione della Corte Costituzionale, che ha accolto il conflitto sollevato dal Quirinale contro i pm di Palermo, relativo alle intercettazioni indirette di quattro conversazioni tra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, coinvolto nell’inchiesta sulla presunta trattativa tra Stato e mafia.

Nel dispositivo diffuso stasera al termine della camera di consiglio, durata circa 4 ore, i giudici costituzionali rilevano che la distruzione delle intercettazioni casuali del presidente deve avvenire “con modalita’ idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti”. La Consulta sembra cosi’ aver condiviso l’intera sostanza del ricorso del Colle. Gli avvocati dello Stato, nell’udienza di stamane (a cui ha assistito anche il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo) avevano rilevato che e’ stato arrecato un “vulnus” alla riservatezza delle conversazioni del presidente della Repubblica, che si sarebbe aggravato se vi fosse stata “una divulgazione” delle intercettazioni. Il professor Alessandro Pace, che davanti alla Corte ha rappresentato la Procura di Palermo, aveva indicato invece quale soluzione “lineare” il ricorso al “segreto di Stato”. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha atteso serenamente e ha accolto con rispetto la sentenza della Corte Costituzionale. Ora attende di conoscere il dispositivo. Anche Messineo, interpellato, risponde: “leggero’ il provvedimento, non ritengo per ora di dover fare commenti”. Il pm di Palermo Nino Di Matteo afferma: “Vado avanti nel mio lavoro tranquillo, nella coscienza di avere agito correttamente e ritenendo di avere sempre rispettato la legge e la Costituzione”. Le motivazioni della Corte saranno depositate in gennaio.
 

Intanto, a Palermo, il gup Piergiorgio Morosini ha rigettato tutte le eccezioni di incompetenza territoriale presentate dai difensori di 10 dei 12 imputati. Il procedimento resta dunque nel capoluogo siciliano. In particolare, per gli ex ministri democristiani Calogero Mannino e Nicola Mancino, il gup ha stabilito la competenza del giudice ordinario di Palermo, mentre i legali dei due imputati avevano proposto la competenza del foro di Roma, o del Tribunale dei ministri, della Capitale o dello stesso capoluogo siciliano. (AGI)

Mafia: Questore Palermo, contro il ‘pizzo’ segnali importanti

palermo,turismo,news,notizie,sicilia,estate,mare, mafia, pizzoContro il ‘pizzo’ a Palermo si registrano “segnali importanti” anche “se c’e’ ancora molto da fare. E’ stato fatto negli ultimi tempi un cammino lungo e importante”. Lo ha detto il Questore di Palermo Nicola Zito intervenendo a ‘Buongiorno Regione’. Sono sempre di piu’ I commercianti che denunciano il racket delle estorsioni.

“Gli elementi indicatori sono positivi – dice ancora il Questore – ed e’ anche importante la collaborazione con l’associazione ‘Addiopizzo’. Noi siamo fiduciosi”. E ringrazia anche I Carabinieri e la Guardia di Finanza “per la collaborazione” nella lotta per la legalita’ sul territorio.

Via D’Amelio, Procura Caltanissetta chiude le indagini. Chiesti sette rinvii a giudizio

palermo,turismo,news,notizie,sicilia,estate,mare, mafia, paolo borsellinoLa Dda di Caltanissetta ha chiuso le indagini sulla strage di via D’Amelio in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e 5 agenti della scorta. I magistrati con la chiusura delle indagini hanno chiesto anche il rinvio a giudizio di sette indagati: il boss Salvatore Madonia, Vittorio Tutino, i pentiti Gaspare Spatuzza, Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura, Calogero Pulci e Francesco Andriotta.

I boss mafiosi Salvatore Madonia e Vittorio Tutino devono rispondere di strage, così come il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. Sono invece accusati di calunnia aggravata con l’aggravante di avere agevolato cosa nostra i pentiti di mafia Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura, Calogero Pulci e Francesco Andriotta. La Procura nissena ha, invece, chiesto l’archiviazione per Maurizio Costa, un meccanico accusato di avere eseguito un intervento sulla Fiat 126 che poi venne usata per autobomba il 19 luglio 1992 in via d’Amelio.

Nella nuova indagine per la strage di via d’Amelio abbiamo fatto miracoli investigativi” ha detto all’Adnkronos il procuratore capo di Caltanissetta Sergio Lari. “Per un colossale errore giudiziario – prosegue Lari che coordina il pool antimafia – furono condannate otto persone che l’anno scorso sono state scarcerate. In questi ultimi periodi si sono fatti passi avanti da gigante”. (Adnkronos/Ign)

Attentato all’Addaura contro Falcone: la Scientifica contamina il Dna sulla muta da sub

QUADRO NEWS.pngDopo oltre vent’anni le indagini sul fallito attentato dell’Addaura contro Giovanni Falcone avevano ricevuto un nuovo impulso. L’attentato era fallito perchè gli uomini della scorta del giudice trovarono la carica esplosiva con 20 chili di tritolo.
La Procura della Repubblica di Caltanissetta, che conduce l’inchiesta, aveva ordinato il prelievo delle tracce di Dna dalla muta, dalle pinne e dagli occhiali adoperati da sub che il 21 giugno 1989 piazzarono una borsa con 20 chili di esplosivo sulla scogliera nella quale si affacciava la villa di Falcone sul lungomare dell’Addaura.

Per compiere l’accertamento il procuratore Sergio Lari e gli altri due Pm titolari dell’inchiesta, l’aggiunto Nico Gozzo e il sostituto Nicolò Marino, avevano fatto ricorso a un incidente probatorio. Indiscrezioni riportate dal quotidiano La Repubblica dicono che durante gli accertamenti del reperto rinvenuto – un polsino della tuta – questi sarebbe stato contaminato in laboratorio, diventando praticamente inutilizzabile. Una conseguenza drammatica per le indagini con il Dna che sarebbe stato così falsato e reso inutile per un qualsiasi confronto. Il pasticcio sarebbe stato generato dall’utilizzo di una pinzetta non sterilizzata a dovere, così il Dna di un feto, analizzato qualche ora prima, si è sovrapposto a quello di uno dei misteriosi attentatori dell’Addaura. Sarebbe stata la stessa polizia scientifica ad accorgersi dell’errore e a comunicarlo immediatamente alla magistratura. Dalla Procura nissena al momento non vi sono commenti anche se c’è la consapevolezza che la contaminazione di un reperto potrebbe mettere in discussione anche un nuovo esame dell’intera tuta da sub.

Le indagini comunque continuano anche perché i primi esami arrivati dalla Scientifica avevano prodotto risultati importanti. Da una maglietta ritrovata sugli scogli era stato estratto un altro profilo di Dna, che è risultato corrispondente a quello di uno degli attentatori già condannati per i fatti del 1989, il boss Angelo Galatolo. Una conferma importante su quanto raccontato dal collaboratore di giustizia Fontana che aveva detto ai magistrati di aver fatto parte del commando operativo di quel giorno. L’ex boss aveva il compito di perlustrare la zona con la sua A112 mentre Angelo Galatolo si era sistemato dietro uno scoglio, con il telecomando, a 50 metri dal borsone con l’esplosivo. Il boss Nino Madonia, invece, controllava la scena da un punto più alto. “Rientrando alla base seppi che era stata notata la presenza della polizia e Galatolo si era gettato in mare, così perse il telecomando”.
Al vaglio dell’inchiesta di Caltanissetta vi sono anche le parole di un altro collaboratore, Vito Lo Forte, secondo cui all’Addaura ci sarebbe stata pure la presenza di uomini dei servizi segreti (Lo Forte fa riferimento all’agente Nino Agostino e all’ex poliziotto Emanule Piazza). Per questa ragione, i magistrati avevano disposto anche il confronto fra i Dna ritrovati sulla scogliera dell’Addaura e quelli di Agostino e Piazza, ma nulla era emerso con l’ipotesi di Lo Forte che non trova al momento conferme. (Antimafiaduemila)

Mafia, la donna pentita del boss: “Il pizzo? Vestiti e colazioni gratis”

QUADRO NEWS.pngScarpe da Hogan, pranzo da Byblos, colazione da Gian Flo. I “picciotti” guadagnano poco per riscuotere il pizzo, tra gli 800 e i 1000 euro al mese, e per vestirsi firmati hanno pensato a uno stratagemma: fare pagare il pizzo ai negozi di abbigliamento con le forniture di merce. Lo ha spiegato la pentita Monica Vitale, questa mattina, nel processo a Luigi Abbate, Salvatore Ingrassia, Vincenzo Vullo, Valerio Marco Mendola, Serafino Dolce e Ivano Parrino, accusati di associazione mafiosa ed estorsioni. Il processo si svolge davanti alla terza sezione penale.

“Ci sono alcuni negozi dove tutto il mandamento di Porta Nuova va e non paga. Anche queste sono estorsioni – ha detto la donna che si è pentita nel 2011 e riscuoteva le estorsioni nei Compro oro – Se dobbiamo vestirci, andiamo da D’Angelo che ha alcune rivendite d’abbigliamento. Per le scarpe andavamo alla Hogan di via Libertà, io stessa ci sono andata più di una volta e ho preso merce senza pagare. Questa è la verità: i mafiosi camminano griffati ma non hanno piccioli (denaro) in tasca”. Per il pranzo si sceglievano il Byblos o Felix, da Gian Flo si passava per il cornetto. “Consumavamo senza pagare nulla – ha spiegato – in alcuni casi, i titolari di questi locali erano costretti a pagare anche le ‘rate’ a Pasqua e Natale. Ma in quelli che esponevano il marchio di Addiopizzo non andavamo, saremmo stati degli stupidi”.

La mafia è cambiata, secondo Monica Vitale, anche nelle vecchie regole, sempre più spesso infrante come l’uso di cocaina o le relazioni extraconiugali. “Ormai tutti hanno le amanti”, ha ribadito. La collaboratrice conosceva da vicino il sistema anche perché era la donna di Gaspare Parisi, boss del  Borgo vecchio. “Era molto geloso di me – ha spiegato – non voleva nemmeno che frequentassi mio zio, che per me era come un padre”. La donna ricevette anche le avances di Nunzio La Torre.

“Quando lo misero in carcere – ha svelato – andai al Comune con la sorella facendo finta di essere la convivente e mi feci rilasciare il certificato che serviva per i colloqui. Dovevo solo portargli vestiti e scarpe, ma lui iniziò a mandarmi lettere d’amore. Io provavo ancora sentimenti per Parisi quindi lasciai stare”. (ANSA)

Palermo, presa la ‘banda del buco’. Nove arresti

QUADRO NEWS.pngLa Squadra mobile di Palermo ha arrestato nella notte nove presunti rapinatori accusati di fare parte della ‘banda del buco’ che nei mesi scorsi ha messo a segno diverse rapine in banche e gioiellerie. Coinvolto anche un metronotte infedele. I nove sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla perpetrazione di rapine in danno di istituti bancari, uffici postali e gioiellerie. La tecnica della ‘del buco’, consisteva dapprima nell’individuare un obiettivo da rapinare attiguo ad un locale accessibile dall’esterno, abbandonato o poco frequentato.

Successivamente nel procedere, all’interno del locale, in orario notturno o nei pomeriggi dei giorni festivi, ad operazioni per forare la parete adiacente a quella dell’obiettivo da rapinare, fino al limite dell’ultimo strato di muratura. Ed, infine nell’irrompere all’interno della banca, dell’ufficio postale o della gioielleria dopo aver abbattuto l’ultimo strato di muro, impossessandosi del denaro o di altri beni preziosi con minaccia o violenza in danno del personale presente, che spesso veniva segregato in una stanza e legato.

“L’indagine condotta ha dimostrato che l’associazione aveva una complessa struttura verticistica con un capo investito e riconosciuto dagli accoliti, una sede dove si tenevano le riunioni, suddivisione degli introiti, sistemi protetti di comunicazione ( telefoni intestate a persone non riconducibili agli indagati e radiotrasmittenti in grado di intercettare le frequenze della polizia giudiziaria), armi da fuoco, attrezzi da scasso e chiavi adulterine, auto utilizzate per raggiungere gli obiettivi da rapinare”, spiegano gli inquirenti. L’associazione per delinquere in parola operava in modo pressoche’ costante dal 2009 al 2010 ed era riuscita a individuare numerose banche e uffici postali da rapinare, avendo gia’ predisposto i sistemi di accesso a detti siti attraverso la realizzazione di aperture nelle pareti dei locali da rapinare.

Si e’ accertato il coinvolgimento nei fatti criminosi di un metronotte in servizio presso un istituto di vigilanza di Palermo che, violando i suoi doveri di fedelta’ alla funzione di guardi giurata che svolgeva, forniva all’associazione preziose informazioni- logistiche ed organizzative- utili per la consumazione di rapine. L’indagine e’ stata coordinata dal Procuratore aggiunto Maurizio Scalia e dal pm Maurizio Bonaccorso, mentre l’ordinanza cautelare e’ stata emessa dal Gip presso il Tribunale di Palermo, Nicola Aiello. Maggiori dettagli verranno forniti nel corso di un incontro con la stampa che si terra’ alle ore 11 presso la Sala Stampa della Questura di Palermo. (Adnkronos)

Mafia, Gdf di Palermo sequestra beni per un milione di euro

palermo,turismo,news,notizie,sicilia,estate,mare, mafia, guardia di finanzaBeni per circa un milione di euro sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza di Palermo. Le Fiamme giale hanno individuato attivita’ economiche, beni e disponibilita’ finanziarie, del valore complessivo di oltre 1 milione di euro, ritenui frutto di attivita’ illecite e pertanto posti in sequestro o confiscati dal locale Tribunale, Sezione Misure di Prevenzione, a seguito di indagini economico-patrimoniale svolti dal Gruppo d’Investigazione sulla Criminalita’ Organizza del Nucleo di polizia tributaria. Sono quattro i soggetti interessati dai provvedimenti di sequestro, tutti di Palermo: un quarantunenne tratto in arresto nel 2010 e condannato nel 2011 a 4 anni e 6 mesi di reclusione per associazione a delinquere finalizzata al traffico di cocaina; il secondo invece, di 46 anni, legato alla famiglia mafiosa di Carini (Palermo), e’ stato arrestato nel 2011 per estorsione e rapina.

Sono stati interessati dal provvedimento di sequestro dei beni anche un trentenne legato alla famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesu’, implicato in reati di estorsione, ed un cinquantenne, appartenente alla famiglia mafiosa di Partanna Mondello, condannato per rapina ed estorsione.

Gli accertamenti, che hanno evidenziato forti discordanze tra i beni posseduti dai soggetti e le loro fonti di reddito ufficiali, per tutti irrisorie, hanno determinato il sequestro di un ristorante a Palermo, quattro abitazioni tra Palermo e Carini (Palermo), tre terreni agricoli della superficie complessiva di circa 2.500 mq, quattro autovetture di grossa cilindrata e diversi conti correnti ritenuti il frutto del reimpiego dei proventi dei delitti commessi.

Le Fiamme Gialle di Palermo hanno poi dato esecuzione al provvedimento di confisca, emesso sempre dal locale Tribunale, Sezione Misure di Prevenzione, di una frutteria di Palermo, intestata ad un prestanome palermitano di 35 anni, ma di fatto riconducibile a suo padre, oggi defunto, condannato nel 2008 per associazione mafiosa in quanto appartenente alla famiglia mafiosa di San Lorenzo ed in stretto contatto con uomini d’onore del calibro di Salvatore e Sandro Lo Piccolo. In tale ultimo caso, ha trovato applicazione la previsione del recente ‘Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione’, in base al quale, in caso di morte del soggetto interessato, il sequestro e la confisca dei beni possono essere disposti anche nei confronti degli eredi. (Adnkronos)

Palermo, confiscati 5 immobili abusivi all’interno Parco urbano Ciaculli

palermo,turismo,news,notizie,sicilia,estate,mare, mafia, ciaculliSu disposizione della corte d’Appello di Palermo il Nopa (Nucleo operativo di polizia ambientale della citta’ di Palermo) ha proceduto alla confisca di cinque immobili ubicati in via BC 39, ricadenti all’interno del Parco Urbano di Ciaculli in localita’ Mandrascati, in osservanza di una sentenza dichiarata irrevocabile. Oltre agli immobili, di circa centoquaranta metri quadrati ciascuno sono state sequestrate le aree di pertinenza, giardini e box auto al servizio degli stessi. Il provvedimento di confisca, scaturisce dal sequestro e dagli accertamenti effettuati dal Nopa nel luglio 2004, in seguito ai quali sono state denunciate all’autorita’ giudiziaria sei persone, tra committenti e proprietari, per una lottizzazione abusiva con conseguente edificazione di cinque unita’ abitative, realizzate senza alcuna autorizzazione.

Secondo le previsioni della sentenza, le predette unita’ immobiliari confiscate ed il lotto di terreno, sono state consegnate nello stato di fatto e di diritto al Comune di Palermo, per la successiva trascrizione nel Registro Immobiliare dell’Ufficio Provinciale di Palermo- Agenzia del Territorio.

All’atto della confisca erano presenti altresi’ i Tecnici del comune di Palermo Ripartizione Settore Risorse Immobiliari- Ufficio del Demanio – per l’acquisizione dei beni ed i tecnici del settore Edilizia Privata – Servizio Abusivismo Edilizio – per la reale consistenza e valore degli immobili.

Tali operazioni, rientrano nel quadro di controlli gia’ avviati dal Nopa nel corso degli anni 2004/2007 che hanno portato a numerosi sequestri di immobili abusivi all’interno del perimetro del Parco Urbano di Ciaculli , a difesa e salvaguardia dell’ultimo polmone verde della citta’ nonche’ dei prodotti agricoli tipici della citta’ come per esempio il mandarino tardivo di Ciaculli sottoposto a DOP, denominazione di origine protetta ed IGC, Indicazione Geografica Protetta, riservati dalla Comunita’ Europea a difesa della tipicita’ di alcuni prodotti alimentari. (ASCA)