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Trattativa Stato-Mafia, tra gli indagati spunta l’ex capo del Ros Subranni

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Il generale Antonio Subranni, ex Comandante del Ros, è indagato nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia.

A confermarlo in aula è stato il pm Antonino Di Matteo durante il processo al generale Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, imputati per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra.

Oggi Subranni avrebbe dovuto deporre al processo ma si è avvalso della facoltà di non rispondere, facoltà che gli arriva proprio dallo stato di indagato. “Attualmente il generale Subranni – ha spiegato il pm Di Matteo – è sottoposto a indagine nell’ambito del procedimento collegato a quello in corso”, cioé quello sulla trattativa tra Stato e mafia.

Insieme con Subranni sono indagati anche lo stesso generale Mori, il colonnello Giuseppe De Donno, accusati di violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario. Più di recente è stato iscritto anche nel registro degli indagati l’ex ministro Calogero Mannino.

E prima ancora i boss Riina, Provenzano e il medico Antonino Cinà.

Invece nei giorni scorsi, il gip di Caltanissetta aveva archiviato la posizione del generale Subranni, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. (Adnkronos)

Le mani dei boss sulle scommesse sportive. In manette anche un ex dirigente del Palermo

QUADRO NEWS.pngUn giro di scommesse clandestine ritenuto riconducibile alla mafia è stato scoperto a Palermo dal nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza che sta eseguendo 11 ordinanze di custodia cautelare. L’operazione, denominata in codice «Dirty Bet», è coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia. Gli indagati devono rispondere, a vario titolo, di esercizio del gioco clandestino e fittizia intestazione di beni, con l’aggravante dell’ agevolazione di Cosa Nostra. I finanzieri hanno effettuato anche numerose perquisizioni. I particolari dell’operazione verranno illustrati in una conferenza stampa che si svolgerà in mattinata.

NOMI ECCELLENTI – Stando alle prime indiscrezioni in carcere sarebbero finiti anche nomi eccellenti del mondo del calcio, tra gli altri Giovanni Pecoraro, ex dirigente sportivo delle giovanili del Palermo calcio. L’indagine è coordinata dal Procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai pm Francesco Del Bene e Gaetano Paci. Pecoraro sarebbe accusato di trasferimento fraudolento di valori e reimpiego di capitali illeciti con l’aggravante di avere favorito Cosa nostra. Secondo gli inquirenti sarebbe stato prestanome di un boss del narcotraffico. Pecoraro era giá finito in carcere alcuni fa anni in un’inchiesta per mafia, ma ne uscì indenne.

Corriere.it

Sonia Alfano: “Boss mafiosi gay? Cosa Nostra non perdona”

palermo,turismo,news,notizie,sicilia,estate,mare, mafiaNon solo in Vaticano, tempi duri anche per i mafiosi gay. Amoreggiare con gli altri uomini, per un boss di Cosa Nostra, pare essere ancora un tabù. Lo rivela Sonia Alfano, presidente della commissione antimafia al Parlamento Europeo, nel suo intervento al talk show di Klaus Davi e in onda su Youtube. «La prova? Solo qualche mese fa alcuni affiliati della mafia sono stati oggetto di un atto dimostrativo da parte di altri affiliati ai clan» ha affermato.

«Ci sono stati – ha continuato la Alfano – una serie di episodi concentrati in Sicilia per punire alcuni appartenenti ai clan. Punizione dovuta agli orientamenti sessuali di questi picciotti. Ci sono delle indagini in corso. Il motivo di questi “atti dimostrativi” sono le tendenze omosessuali di questi boss. Sono venuta a conoscenza anche di un vero e proprio pestaggio. Ma ci sono anche state ‘azioni’ ancora più forti, compiute in altri contesti». Non è ancora chiaro se questi mafiosi gay siano ancora affiliati al loro clan, ma certo «non godono della stessa considerazione che avevano prima».

Molto elusiva sul dove siano compiuti tali atti dimostrativi, la presidente della commissione antimafia ha rivelato non sono accaduti né a Trapani né a Palermo. In ogni caso non si tratterebbe di casi isolati. «Un altro fatto di cui sono a conoscenza riguarda un affiliato ad un clan di Cosa nostra. Un affiliato omosessuale che e’ stato picchiato da altri picciotti in carcere. Lui stesso, che e’ tutt’oggi detenuto, mi raccontò che fu picchiato per la sua sessualità ritenuta diversa, e disse chiaramente che non erano state le forze dell’ordine».

«Questi episodi dimostrano che chi è gay in Cosa nostra corre ancora seri rischi. Lo spirito non è poi molto diverso dai primi anni novanta quando Johnny d’Amato fu ucciso da Tony Capo perché “amoreggiava” con gli uomini. Non e’ considerato affiliato tipo quindi subentrano simili azioni dimostrative» ha concluso Sonia Alfano.

Nuovasocietà.it

Palermo, caffe’ della mafia imposto ai bar

palermo,turismo,news,notizie,sicilia,estate,mare, mafiaIl caffé della mafia imposto ai bar che avrebbero acquistato partite di qualità inferiore rispetto al prodotto medio temendo ritorsioni. E’ uno degli aspetti che emerge da una indagine della guardia di finanza a Palermo, denominata “coffee break”. Su disposizione del gip che ha accolto la richiesta della Procura, i finanzieri hanno sequestrato cinque società per un valore di oltre 4 milioni di euro: due nel…

settore del commercio all’ingrosso di caffé, due bar e una palestra, riconducibili a un pluripregiudicato, ritenuto, in passato, uomo di fiducia di Totò Riina e condannato con sentenza definitiva per associazione mafiosa. Dalle indagini, dirette dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dal sostituto Dario Scaletta, è emerso che l’ imprenditore ha attribuito a prestanome le attività commerciali sequestrate, mentre in realtà le continuava a gestire direttamente. Undici persone sono state denunciate per concorso in trasferimento fraudolento di valori. Per sfuggire ai controlli l’uomo, secondo gli investigatori, cambiava continuamente i soci delle aziende, ne chiudeva alcune per aprirne poco dopo altre. Secondo alcuni collaboratori di giustizia l’imprenditore ambiva a diventare, ad ogni costo, il leader incontrastato nella fornitura del caffè presso gli esercizi commerciali di Palermo. La finanza ha appurato che nonostante gli esigui redditi dichiarati al fisco, l’imprenditore e la sua famiglia conducevano un elevato tenore di vita. Dopo la sua scarcerazione (dicembre 2006), l’uomo ha visto aumentare notevolmente il numero dei propri clienti, addirittura +300% in un solo anno.

Il provvedimento di sequestro preventivo riguarda le imprese di Francesco Paolo Maniscalco, 48 anni, tutte nel centro di Palermo. Tra queste vi sono le società “Cieffe group srl”, in via Ugo La Malfa, e “Caffé Florio sas di Zaccheroni Maria” con sede legale in via Paolo Emiliani Giudice; un bar in via Pisacane; la Palestra Body Club di via Dante; il bar Trilly di via Giacomo Cusmano (sequestrati solo i beni strumentali).

Orlando: “Commemorazioni stragi, si rischia di sedere accanto a complici dei mandanti”

palermo,turismo,news,notizie,sicilia,estate,mare, mafia, giovanni falcone, paolo borsellino, leoluca orlando «Fin quando non ero sindaco mi sono rifiutato di partecipare alle manifestazioni per le stragi perché correvo il rischio di sedere accanto ai complici dei mandanti dei killer». Lo ha detto Leoluca Orlando, da due giorni nuovo sindaco di Palermo, a margine delle commemorazioni dell’eccidio di Capaci in corso nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo. Orlando ha così risposto ai giornalisti che gli chiedevano cosa pensasse delle dichiarazioni del cognato di Falcone, il magistrato Alfredo Morvillo, che ha detto che spesso chi partecipa alle manifestazioni è «una palla al piede nella lotta alla mafia».

Provenzano tenta il suicidio in carcere, rinviato processo omicidi Palermo

palermo,turismo,news,notizie,sicilia,estate,mare,bernardo provenzano,mafiaDopo il tentativo di suicidio nel carcere di Parma del boss mafioso Bernardo Provenzano, questa mattina il capo mafia non e’ apparso in aula davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Palermo dove si celebra il processo per un triplice omicidio avvenuto nel 1981. Dal carcere di Parma e’ arrivata una comunicazione in cui si annuncia che il boss Provenzano non partecipa all’udienza in quanto “rinunciante”. Ma il legale di Provenzano, l’avvocato Rosalba Di Gregorio, ha chiesto al presidente della Corte d’Assise d’Appello, Biagio Insacco di acquisire l’atto di rinuncia “recante la firma dell’imputato Provenzano”. (Adnkronos)

Mafia, la procura chiede il processo per il presidente Lombardo

palermo,turismo,news,notizie,sicilia,estate,mare, raffaele lombardo, mafiaLa Procura di Catania ha presentato la richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno all’associazione mafiosa e voto di scambio del presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, e di suo fratello Angelo, deputato nazionale del Mpa. L’atto è stato depositato ieri ma la notizia si è appresa oggi. La richiesta fa seguito alla decisione del Gip Luigi Barone di non accogliere l’archiviazione…

proposta dalla Procura per i fratelli Lombardo e di disporre l’imputazione coatta per i due esponenti politici. Secondo quanto si è appreso, il fascicolo non è stato ancora assegnato a un Gip, né è stata fissata la data dell’udienza preliminare. La data slitterà di alcune settimane perché il Gip dovrà essere diverso dal giudice Barone, che sulla vicenda si è già espresso, e dovrà avere il tempo di studiare le migliaia di pagine degli atti confluiti nel fascicolo. L’inchiesta è uno stralcio dell’operazione Iblis, il nome del Diavolo in arabo, scattata il 3 novembre del 2010 con decine di arresti tra esponenti di spicco della mafia di Catania, imprenditori e uomini politici. E’ una Cosa nostra moderna quella svelata dalle indagini di carabinieri del Ros, che si insinua negli appalti e si fa imprenditrice.
E per questo avrebbe cercato di avvicinare, anche tramite un ‘colletto bianco’ come il geometra Michele Barbagallo, i vertici del Mpa: Raffaele e Angelo Lombardo. Indagati per concorso esterno la loro posizione crea una diversificazione di vedute nella Procura tra chi chiede il rinvio a giudizio dei fratelli Lombardo e chi, invece, lo stralcio del fascicolo. E’ questa linea che passa, forte della sentenza della Cassazione su Calogero Mannino.
Il capo d’imputazione è derubricato in reato elettorale e comincia un processo davanti al Tribunale monocratico.
Allo stesso tempo la Procura chiede l’archiviazione del fascicolo per concorso esterno, ma il Gip Barone fissa un’udienza camerale e dispone l’imputazione coatta, spiegando in 60 pagine di motivazioni, che ci sono elementi di valutazione da affidare a un Gip per la richiesta di rinvio a giudizio. In particolare, il Gip ritiene sia da escludere che per 10 anni Cosa nostra abbia investito su un partito, il Mpa, sul suo leader e su suo fratello, accettando, dopo ogni competizione, di ricevere nulla in cambio e continuando a stipulare ancora accordi nelle successive elezioni.
“Gli elementi sin qui esaminati e le relative considerazioni svolte – conclude il Gip Luigi Barone – offrono, dunque, a questo decidente, un ulteriore elemento indiziario, che indubbiamente dovrà essere approfondito nel corso dell’istruttoria dibattimentale, ma che presenta, allo stato, una pregnanza tale da non consentire, ‘ex se’, l’archiviazione del procedimento”.

Fonte: gds.it

Mafia: questore Palermo, in aumento numero imprenditori che denunciano pizzo

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“Il numero dei commercianti e degli imprenditori che denunciano i loro estorsori e’ in aumento non in maniera imponente, ma continua. Sono fiducioso sul fatto che il 2012 ci dia ulteriori elementi positivi”. Lo ha detto il questore di Palermo, Nicola Zito, incontrando la stampa per i tradizionali…

auguri di fine anno. Parlando poi dell’attivita’ del 2011 il questore si e’ detto “moderatamente soddisfatto dei risultati conseguiti sia nell’attivita’ antimafia, che e’ la principale, sia nell’azione preventiva, che la Questura di Palermo insieme con le altre forze dell’ordine ha portato avanti in un controllo integrato del territorio”. (Adnkronos)

Palermo, cocaina sul set di Squadra Antimafia. Ex poliziotto svelava blitz, ecco tutti gli arrestati

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I carabinieri del comando provinciale di Palermo hanno eseguito 28 arresti di boss, gregari ed estortori di Cosa Nostra. Per 22 indagati la Dda del capoluogo ha emesso provvedimenti di fermo per associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni, al traffico di droga e alle rapine; per altre sei persone, già detenute per mafia, è stata disposta la custodia cautelare in carcere…

Ci sarebbe anche un ex investigatore, un agente di polizia in pensione, tra gli arrestati. Secondo gli investigatori avrebbe avvertito il capomafia Calogero Lo Presti di indagini e blitz in programmazione contro il clan. L’indagine ricostruisce l’organigramma dei mandamenti di Porta Nuova e Bagheria. Dall’inchiesta emergono gli stretti rapporti tra i mafiosi di Porta Nuova e le famiglie palermitane di Pagliarelli, Brancaccio, Noce e Tommaso Natale.

ESTORSIONI E COCAINA. Parte dell’indagine riguarda il mandamento di Bagheria: gli investigatori ne hanno individuato i vertici e hanno ricostruito la mappa del racket nella zona, principale attività di guadagno della cosca. Il consueto stipendio mensile era ritenuto troppo oneroso: per questo i boss di Porta Nuova avevano deciso di sostentare le famiglie dei mafiosi detenuti assegnandogli una attività economica da gestire: un bar, un tabacchi. Cosa nostra, dunque, pensava di investire denaro in attività lecite che diventassero, poi, fonte di guadagno per i “picciotti” liberandosi così, dalla dazione mensile.

Dall’inchiesta è emerso anche un ritorno della mafia a investire il denaro sporco nel narcotraffico: i boss acquistavano cocaina da vendere sul mercato siciliano attraverso una rete di spacciatori capillarmente controllata. Tra i fermati ci sono gli attuali capi dei mandamenti di Porta Nuova e Bagheria. La scelta di un provvedimento d’urgenza come il fermo nasce dall’esigenza di bloccare le attività estorsive della cosca ed evitare danneggiamenti e attentati a imprenditori e commercianti. A differenza di quanto accaduto in altre indagini, le vittime del pizzo questa volta avrebbero collaborato con gli investigatori.

FICTION NEL MIRINO DEI BOSS. Anche la produzione della nota fiction Mediaset “Squadra antimafia Palermo Oggi” era finita nel mirino del racket del clan di Portanuova che aveva il controllo del catering e dei trasporti della serie televisiva. Dall’inchiesta chiamata “Pedro” perché il boss del quartiere, Calogero Lo Presti, era noto come lo zio Pietro, vengono fuori i nomi dei vertici del mandamento: tra questi il numero due del boss Tommaso di Giovanni. Era lui, secondo la collaboratrice di giustizia Monica Vitale, a tenere le casse della cosca.

Il clan di Porta Nuova era, inoltre, il “fornitore ufficiale” della cocaina sul set della fiction. Il pusher era Giovanni Giammona. Alcuni tecnici della produzione lo contattavano al telefono ordinandogli le dosi di droga e usando un linguaggio in codice: “Volevo sapere se… che ne so… tanto il furgone hai visto dov’è, io sono sempre là… dove mi hai visto l’altro giorno. Una fotocopia così…”. A volte la qualità non era buona: “…mi vuoi proprio male a me? Ma male… no, la fotocopia mia non… non è uguale a… non si vede proprio! no, ma non è proprio uguale a quelle altre fotocopie, come mai?…”. Un altro uomo della produzione era interessato all’acquisto di più dosi: “…ora ti chiama adesso… non lo so vogliono fare… una bella spesa…”. I carabinieri hanno assistito alla consegna della cocaina, sequestrata nel vano sottosella di uno scooter.

IL BATTESIMO MAFIOSO. La tradizionale affiliazione a Cosa nostra con tanto di santino che brucia resiste nel tempo. La pentita Monica Vitale, che ha contribuito all’indagine antimafia che ha portato in cella 28 persone, racconta di avere saputo da Gaspare Parisi, suo compagno e reggente della “famiglia” di Porta Nuova, i dettagli della cerimonia.

“Mi ha raccontato Parisi – dice la donna ai pm – su questo signore (Calogero Lo Presti, capo del mandamento, ndr), mi ha detto che è stato lui a battezzarlo insieme a Masino Di Giovanni nel suo garage di appartenenza in via Danisinni. Parisi prima del battesimo mi aveva chiesto di accompagnarlo a comprare un vestito da cerimonia, perché loro mettono il vestito da cerimonia e io stessa gli ho detto che mi seccava, perché a me non piace, se mi devo andare a comprare un jeans va bene, ma un vestito da cerimonia no”.

“Gli ho detto: no, mi secca gli ho detto a cosa gli serviva e lui mi ha detto: niente, perché tra poco mi battezzano – prosegue – Gli ho fatto i miei auguri anche se ero contraria, perché lo so che dopo il battesimo non si può più uscire da questa strada tranne se non prendi altre strade… la cerimonia è avvenuta a pranzo, perché l’hanno fatta a pranzo, dove arrostiscono dopo il battesimo, fanno festa… parlandone con Parisi si parlava di questo, è normale che stringono una santa, lo pungono, con chi lo battezza io ero curiosa alla cosa e lui mi ha detto che avviene che si mette il capomandamento e altri capimandamenti, capifamiglia e chi lo battezza si ci mette accanto, prende sta santina, la brucia, poi lo punge, si mettono a contatto o le dita o i polsi, quello che pungono, si baciano in bocca, dove viene detta una frase, però non lo so la frase, questo è il battesimo”.

EX POLIZIOTTO SVELAVA PEDINAMENTI E BLITZ. Il clan di Porta Nuova poteva contare su una talpa. Si tratta di Matteo Rovetto, 58 anni, poliziotto in pensione della sezione antirapina della Squadra Mobile, accusato di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra e arrestato questa mattina nell’operazione che ha colpito il clan di Porta Nuova. Aveva la passione per l’orto che coltivava a pochi passi dalla stalla dove Calogero Lo Presti convocava i summit di mafia. Una mattina di settembre 2010 Rovetto racconta al capomafia di essere stato pedinato: “E’ l’antirapina c’è questa e quella amaranto”. Rovetto conosce pure il poliziotto che è a bordo: “… era con me nell’antirapina… eravamo assieme… però ti dico una cosa i coglioni non li rompe…”. Rovetto racconta a Lo Presti di avere aiutato in passato anche degli spacciatori: “Li vedi che ci sono i falchi l’altra volta al Secco io l’ho salvato. Ti giuro a me che la roba ce la prendeva subito… levati che li hai di sopra, gli ho detto. Non lo vedi che quello è messo là sotto che ti sta guardando…
dice grazie zu Matteo, dice mi ha scansato le manette…”.

Rovetto racconta anche di aver confidato a “Masino” (Tommaso Lo Presti, capomafia n.d.r.) dell’arrivo di personale dei reparti speciali della Polizia da Roma che, munito di attrezzature particolari e con l’ausilio di telefonini, aveva iniziato a frequentare la zona per fotografare tutti. Nell’occasione l’ex poliziotto aveva consigliato addirittura di far spostare gli spacciatori che lavoravano davanti alla sua macelleria per una quindicina di giorni in modo da non dare assolutamente punti di riferimento certi e da non fare troppa confusione in zona: “L’altro giorno sono venuti per… sono venuti una decina da Roma … gli ho detto: Masino fai una cosa, vedi che per adesso c’è tutto a subbuglio, passano, hanno i telefonini e scattano le fotografie. Gli ho detto: per adesso questo punto toglilo… questo alla macelleria … gli ho detto vattene al bar di… allontanati qualche 15 giorni 20 giorni e non dare punti di riferimento”.

TUTTI GLI ARRESTATI. Calogero Lo Presti, Tommaso Di Giovanni, Antonino Zarcone, Nicolò Milano, Vincenzo Coniglio, Giuseppe Di Marco, Antonino Lo Iacono, Gabriele Buccheri, Maurizio Pecoraro, Daniele Lauria, Agostino Catalano, Rodolfo Allicate, Francesco Paolo Putano, Giuseppe Auteri, Giovanni Giammona, Gaspare Parisi, Ivano Parrino, Francesco Chiarello, Nunzio La Torre, Giovanni Lo Giudice, Domenico Marino, Christian Mancino, Matteo Rovetto, Salvatore Sampino, Giovanni Mannino, Giustino Giuseppe Rizzo, Fabrizio e Giovanni Toscano. (LA SICILIA)